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Dopo l’arresto di Tonino, accusato di concorso in tentato omicidio per l’accoltellamento di uno dei fascisti che hanno sfacciatamente provocato il corteo del primo maggio, la procura, nella persona del P.M. Ardituro, si sta accanendo pesantemente contro di lui. È stato trasferito nel carcere di Civitavecchia pochi giorni prima della sentenza del tribunale del riesame, cosa abbastanza inusuale; gli è stata rigettata per due volte la richiesta degli arresti domiciliari adducendo come motivazione la sua presunta pericolosità sociale; i suoi familiari e la sua compagna non sono riusciti ad avere i colloqui prima delle due settimane successive al suo trasferimento.
L’arresto del nostro compagno è emblematico del nuovo corso delle politiche securitarie attuate nella città di Napoli. Tonino infatti è da sempre impegnato nelle varie lotte presenti sul territorio cittadino, che si oppongono alla supina accettazione delle regole che vogliono imporci. Insieme a lui continuano a essere colpiti tutti coloro che si ribellano contro la devastazione del territorio, le politiche razziste, la disoccupazione, il precariato etc. Decine di denunce, arresti, misure restrittive, sanzioni pecuniarie colpiscono chiunque esprima dissenso, in linea con la “tolleranza zero” dichiarata dal capo della digos da poco insediatosi. Il controllo del territorio si impone dunque su una città che vive sulla propria pelle condizioni di vita sempre più dure che rischiano di creare una situazione pericolosamente esplosiva. La presenza dell’esercito, dei corpi di polizia municipali impegnati nella caccia al clandestino, l’incremento del numero di poliziotti e carabinieri, le migliaia di telecamere attive nella città sono funzionali al controllo del territorio, così come le organizzazioni neofasciste che come al solito vengono utilizzate a fini provocatori. Il tutto per tentare di contenere le espressioni delle innumerevoli contraddizioni di una città dove una grossa parte della popolazione vive grazie a lavori al margine della legalità o totalmente illegali, una città in cui le sue carceri scoppiano per il numero elevatissimo di arresti che vengono effettuati quotidianamente e a cui vanno aggiunte le migliaia di persone che subiscono misure restrittive quali arresti domiciliari, sorveglianza speciale, etc.
Il chiaro intento è quello di normalizzare un territorio per adeguarlo agli standard europei applicando quei metodi che in altre parti d’Italia sono stati collaudati già da tempo. Di qui il cambiamento, ad esempio, dell’assetto urbano dei quartieri popolari in cui non siano più presenti ambulanti ed extracomunitari per strada o mercati all’aperto nei posti più centrali.
Inoltre Napoli e la Campania sono territori utilizzati anche come luoghi di sperimentazione di politiche securitarie che successivamente vengono applicate a tutto il territorio nazionale. Emblematico è il caso della cosiddetta “emergenza rifiuti”, quando è stata affidata all’esercito la gestione dei siti indicati come discariche e dell’inceneritore di Acerra, atto che ha preceduto l’utilizzo dei militari nel controllo delle strade e dei quartieri di molte città italiane.
Le dinamiche di controllo e di repressione che viviamo nel nostro territorio sono dunque comuni, anche se si esprimono con modalità diverse, a tutto il paese. Precarizzazione della vita e delle condizioni di lavoro, criminalizzazione, attraverso i media, di tutte quelle lotte che escono dall’alveo istituzionale (un lancio di uova contro la sede della CISL, ad esempio, diventa un atto terroristico), sorveglianza elettronica della maggior parte delle nostre attività quotidiane sono solo alcuni degli strumenti di cui si dota il potere per ridurre sempre di più gli spazi di libertà. La repressione, insomma, come unico mezzo per garantire lo status quo, per prevenire qualsiasi dissenso sociale.
La nostra risposta non può farsi attendere: riprendersi le strade e le piazze, radicalizzare i nostri interventi sul territorio, rispondere colpo su colpo agli attacchi del potere sono alcuni degli obiettivi che ci dobbiamo porre nell’immediato.
È anche per questo che il 6 novembre abbiamo deciso di organizzare un corteo nazionale che non vuole essere un punto di arrivo, ma uno dei momenti in cui ci si possa confrontare, anche nella pratica, con tutti gli individui e le realtà in lotta contro questo esistente. Un corteo che esprima dei contenuti chiari e radicali; che dia una risposta forte a tutti coloro che credono di poterci chiudere la bocca o intimorirci; che porti per strada la nostra rabbia e la nostra determinazione a lottare.
tratto dal numero di ottobre de “la miccia”